E' iniziata così...
Come e perchè...
Tappe di un lungo cammino
1968, l'idea, il sogno
A volte, belle e durature iniziativa hanno origine per un caso fortuito.
E' però fondamentale che il caso risuoni nella mente, nel cuore e nella volontà di gente sensibile, generosa e decisa.
Ed eccoci ad un evento che conosce una simile origine...
Siamo nell'inverno del '68. La neve è caduta copiosamente imbiancando le cime. Bisogna approfittarne per una sciatina sulle pendici dei nostri monti.
E' così che un giorno Vincenzo Cesca, alpino, ed Enrico Salton, appassionato alpinista, chiamato da tutti "Richetto del Pupo", decidono di salire verso il "Campo", su per il passo della Scaletta, con un paio di sci di fabbricazione artigianale, per scendere in velocità i pendii ondulati, degradanti verso il passo San Boldo.
Trascorsa la giornata, ritornano a valle più silenziosi che all'andata, giacché l'avventura sta per finire e la stanchezza rende greve il cammino.
Il loro silenzio, ad un tratto è interrotto da un boato che, via via, si fa più forte e vicino.
Alzano gli occhi verso la val della Pila in tempo per osservare lo sviluppo di una valanga che, staccatasi dal culmine, rovina paurosamente a valle fermandosi in prossimità delle casere Marès.
La massa nevosa non fa danni a cose né a persone perché il luogo è impervio, molto accidentato, con scarsa vegetazione e non è di solito praticato né vi insistono abitazioni. Passata la sorpresa e la comprensibile apprensione, i due amici esaminano l'accaduto.
Quanti metri cubi di neve saranno?
Che velocità avrà raggiunto la valanga?
Quali danni avrebbe fatto in altre circostanze?
E così discorrendo il pensiero corre al ricordo di gente conosciuta che aveva incontrato la sventura in montagna mentre attendeva alla fienagione o mentre saliva il sentiero per guadagnare il passo e raggiungere le malghe. Arrivano così in fondovalle, alla chiesetta di San Daniele dove incontrano monsignor Vito Buffon con altri.
Richetto si rivolge al sacerdote e, in sintonia con i discorsi fatti esprime un'aspirazione: "Sarebbe bello erigere un Cristo simile ai tanti che si trovano in Alto Adige per ricordare i Cisonesi morti in Montagna".
Mons. Buffon, colto di sorpresa, ma sempre pronto di spirito, chiede di rimando in dialetto: "Sèu bòni?" (Nota: "Siete capaci?")
La sfida è così partita. Per i due amici comincia un nuovo impegno.
Arrivati in paese, entrano al bar per ristorarsi ma ancor più per raccontare le avventure della giornata e proporre il nuovo progetto.
Il Cristo è un'idea che piace. Condivisa subito da altri, ognuno dice la sua e, nei giorni che seguono, c'è chi aderisce, chi suggerisce, chi critica e chi in silenzio ascolta e da' forma all'idea.
Quando la proposta è ben matura ci si ritrova alla Trattoria Prealpina gestita da Pietro Rino Pasquetti per porre le basi di una concreta realizzazione dell'edicola del Cristo.
Durante la discussione il gestore e altri presenti, Alpini che avevano partecipato alla guerra e ne avevano ancora un vivo ricordo, propongono di dedicare il Cristo alla memoria degli Alpini di Cison che avevano dato la vita per la Patria.
L'idea si trasforma in proposta al locale Gruppo A.N.A. di realizzare "Il Cristo degli Alpini". Seduta stante si distribuiscono gli incarichi e si raccolgono i pochi soldi.
E' questo un metodo singolare degli alpini, anche se la disponibilità di denaro è sempre scarsa: cominciamo e poi ci arrangeremo.
E capiterà invero così perché, a lavoro ultimato, l'ingegner Virgilio Floriani, concittadino e benefattore, ha voluto cancellare il debito degli Alpini con un tratto di penna.
Vincenzo Cesca, falegname, fa un bozzetto in legno in scala 1:40 che viene approvato in una successiva riunione.
Nell'esecuzione del lavoro Vincenzo viene affiancato dagli alpini Luciano Zorzatto ed Ettore Sasso con i quali lavora con entusiasmo nella falegnameria che i Fratelli Possamai-Buso mettono a loro disposizione gratuitamente.
Enrico Salton, provetto muratore, deve pensare al basamento che verrà eseguito in pietra locale, dopo aver effettuato un sopralluogo alle casere Marès, dove quel giorno era caduta la valanga.
La scelta del luogo non par opportuna perché poco frequentata mentre si preferisce una sistemazione che si evidenzi subito appena si arriva in valle S. Daniele. L'alpino Angelo Possamai-Menon suggerisce di collocarlo sullo sperone roccioso del Col Madan, modesto contrafforte che si erge tra la val de Buse-Pìssol e la val Fredda-Scaletta, che appartiene alla signora Agata Guartieri-Mambrin. Egli stesso contatta la Signora che concede il permesso di apporvi l'edicola senza compenso.
Il primo lavoro da fare è quello di tracciare un sentiero che porti allo sperone e quindi di spianare alcuni metri quadrati per ottenere una piazzola di sosta che sia al tempo stesso una balconata da dove si possa godere di un ampio panorama del paese che si allarga a meridione.
Nel frattempo il Capogruppo A.N.A. cav. Giovanni Franceschet assieme ai consiglieri del Gruppo Eugenio De Luca e Girolamo Dalle Crode vanno ad Ortisei in Val Gardena con l'amico autista Francesco Dalla Betta, per acquistare un'immagine di Cristo intagliata in legno.
L'opera acquistata è di Andrea Mèssner: in un unico tronco di m. 1,50 è intagliata l'immagine di Cristo contorta, sofferta; quasi reale nell'espressione dolorante del volto teso in una smorfia di tribolazione, nel tormento delle mani che si chiudono nell'immane sforzo.
E' un'immagine che ricorda il dolore della carne e dell'anima dei nostri Alpini colpiti a morte in ogni dove, che compiono l'ultimo atto di coraggio nella consapevolezza di dover abbandonare la giovane vita col rimpianto nel cuore. Così scriveva l'Alpino Adolfo Perrero di Torino, caduto a vent'anni sull'Ortigara il 19 giugno 1917:
"...sento in me la vita
che vorrebbe la sua parte di sole;
sento le ore contate,
son presago di una morte gloriosa
ma orribile;
darei un tesoro per rivederti
e sono certo che non potrò..."
Con negli occhi e nel cuore questa croce, Mario Altarui e Giulio Salvadoretti, ci hanno fatto dono della commossa canzone "Penne Mozze" musicata dal maestro Efrem Casagrande.
PENNE MOZZE
Penne Mozze del mio cuòr;
ricordàde su a Cison,
con un àlbero e una stele
èrba, ròcia e pòchi fior.
Mòrti in Africa ed in Libia
e su l'Alpi e in mar ancor;
'n Grecia, in Russia e nei Balcani:
Pénne Mozze per l'onor!
Ch'el Cristo vé vàrde,
ch'el vénto vé base,
che i àlberi i cànte
al sol e a la luna
canson vécie e nove
de réquie e dé glòria!
O péna spacàda
te à fato la stòria!
Pènne Mozze per l'onor!