Ed ora il Bosco...
Come e perchè...
La storia continua...
1971, la scelta del luogo e l'inizio dei lavori
Ma quando nel 1971 Mario Altarui si reca a Cison di Valmarino su invito del Sindaco De Rosso e vede il "Cristo degli Alpini" alto sullo sperone roccioso nello splendore autunnale dei nostri monti, non ha più dubbi.
Il Bosco deve sorgere a Cison e il prof. Altarui prepara il primo incontro col Gruppo A.N.A. locale guidato da un giovane dinamico, il rag. Marino dal Moro che accetta l'incarico nella misura in cui tutti gli Alpini del Gruppo si rendano disponibili all'impegno.
L'idea del Bosco giunge quindi al momento opportuno: ne fanno fede l'immediata disponibilità di tutti e l'entusiasmo che diventa contagioso.
In una successiva riunione, presenti il dott. Gino Perin e l'avv. Marco Da Re, vicepresidenti, la Sezione Alpini di Vittorio Veneto viene informata del progetto. Il Presidente Giulio Salvadoretti non nasconde lo stupore e la trepidazione per una iniziativa che si presenta subito in tutta la sua imponenza e originalità. Anche gli Alpini, per i quali nulla sembra impossibile, hanno per qualche tempo una diffusa perplessità.
Così l'inizio è davvero difficile, eroico.
Si costituisce un Comitato operativo formato dall'ideatore Altarui, in qualità di Presidente-Coordinatore, da Salvadoretti, Presidente della Sezione e dal dott. Francesco Jelmoni, dirigente dell'Amministrazione Forestale dello Stato, che dà utili indicazioni e ogni aiuto per la riforestazione. Al Comitato direttivo è ammessa la presenza del Capogruppo di Cison che rappresenta, con i suoi Alpini, il braccio operativo.
Il Gruppo di Cison contatta la Signora Agata Guartieri per l'acquisto del terreno dove già sorge il Cristo.
Un certo numero di Soci con impegno ed entusiasmo preparano il terreno appena acquistato: vengono ripuliti i pendii dai molti rovi che hanno prosperato incolti per anni, si preparano le buche per le nuove piante e per il basamento delle stele; si provvede a spianare lo spazio dove sorgerà il Monumento simbolo del Memoriale.
Ogni sabato il passaparola ricorda l'impegno della domenica mattina per oltre quaranta domeniche di lavoro nel primo anno.
La soddisfazione per i risultati raggiunti avvicina e coinvolge anche coloro che non sono alpini.
E viene il giorno che il Crocifisso è meno solo!
Ecco come ne scrive Mario Altarui, ideatore del Bosco.
"Dal simbolo del sacrificio di Cristo è discesa la
creazione del Bosco delle Penne Mozze: il Legno della
grande Croce ha posto nella roccia radici di immenso
dolore che sono emerse dintorno nella veste di
piccole piante destinate a portare il nome di una
Penna Nera spezzata in ogni fronte nel corso di quest'ultimo secolo.
Cesare Battisti, con gli Eroi del Grappa e del Piave,
i Caduti d'Africa, dei Balcani, di Russia e dei campi
di prigionia, trovano memoria in questo Bosco assieme
ad Armando Piva, ultimo Caduto a Cima Vallona
cinque anni fa, colpito da piombo traditore".
Gli Alpini di Cison curano questo lembo di terra con infinito amore, non solo perché sorge tra i loro monti, bagnati dal sudore dei padri, ma perché lo sentono vivere, rianimarsi giorno dopo giorno in una nuova temperie di cui intuiscono la bontà e la grandezza.
Dal Bosco, infatti si irradia un ordine agli uomini del mondo. Lo interpreta bene l'alpino Adolfo Perrero, morto a vent'anni sull'Ortigara:
"...parlate, parlate fra qualche anno
quando saranno in grado di capirvi,
ai miei piccoli fratelli.
Parlate di me,
morto a vent'anni per la Patria.
Risvegliate in loro il ricordo di me.
Diversamente non sapranno
di avermi avuto fratello.
E' triste pensare
di venir dimenticato...".
Lavorano a lungo gli Alpini di Cison col braccio e con la mente. Subito e più si va avanti, si profilano difficoltà di carattere finanziario.
Il progetto supera di gran lunga le possibilità del Gruppo anche se le spese vengono contenute bene, operando e "tirando la giacheta" a tutti gli amici.
Con generoso slancio ci viene incontro un'altra volta l'ing. Floriani che provvede ad acquistare altro terreno per la realizzazione del Memoriale, di cui la moglie Loredana Carbone è madrina. Ha voluto offrire anche il Monumento e i mezzi per realizzare un buon numero di stele pari ad almeno un Caduto per ogni comune della provincia.
L'opera, realizzata da uno scultore di sicuro prestigio qual'è Simon Benetton, con i suoi pochi elementi costitutivi sa comunicare, all'osservatore sensibile, le parole adatte.
"Le tre penne nere appaiono evidentemente mutilate ma il disperso
lembo superiore viene raggiunto dall'amore degli Alpini viventi.
La ferita rimane, ma il sacrificio non risulta vano se è
fecondo di gratitudine per il dovere compiuto.
L'ala che muove dalle tre penne è indice di un ripristino
delle coscienze, di una continuità di ideali, di una rinnovata
volontà di operare per il bene comune, nella convinzione
che è largamente maturato il tempo in cui avrebbe dovuto
sorgere e consolidarsi un'intesa nazionale ed internazionale
sincera e costruttiva".
Il Monumento. Sulla nappina che reca la data dell'ottobre '72 è riprodotto il distintivo dell'A.N.A. alla quale queste gloriose memorie sono affidate.
Sul retro delle tre penne è rispettosamente ricordato, in tono sommesso, che l'opera è stata donata dalla Madrina signore Loredana Carbone Floriani, che è stata benedetta da S.E. il Vescovo alpino mons. Antonio Cunial, e per riconoscenza verso l'intera popolazione di Cison, che la realizzazione è avvenuta essendo Sindaco Marcello De Rosso.
Sul basamento che regge l'opera è apposta una targa, pure in ferro, col seguente scritto:
"Nel centenario della fondazione del Corpo degli Alpini
questo Bosco delle Penne Mozze viene dedicato ai trevigiani
appartenenti alle truppe alpine Caduti nell'adempimento del dovere".
Le stele non sono fatte in serie; ognuna, per ciascun Caduto, è diversa dalla altre pur osservando la medesima entità; è uguale per il decorato al valore come per il Caduto di stenti in prigionia. Penne bianche o Penne nere sono affratellate ugualmente.
L'elemento decorativo di ogni stele è identificabile come una scheggia di granata a forma di croce: la scheggia che mozzò la penna dell'Alpino.
Ad altri appare una figurazione di rocciose pareti alle quali lo scultore si è effettivamente ispirato.
Anche la Cassa di Risparmio di Treviso ed in particolare il suo Presidente prof. Luigi Chiereghin, è intervenuta con un consistente aiuto che è stato dato sia direttamente, sia con il patrocinio di un libro di Mario Altarui Penne Nere trevigiane nella guerra '14-'18, il cui ricavato è stato totalmente destinato al Bosco delle Penne Mozze.
Pronta è stata la collaborazione data dall'Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Treviso per l'appassionato interesse del suo dirigente dott. Francesco Jelmoni che ha provveduto alla sistemazione del terreno e a mettere a disposizione le piante occorrenti.
Apprezzatissimo è stato il lavoro eseguito dal Corpo Forestale ed encomiabile la dedizione del brigadiere Dionisio Sonaggere.
E' passato del tempo in questo frenetico affaccendarsi, finché si giunge all'inaugurazione del Bosco.
E' davvero una cattedrale all'aperto, cui fanno da pareti i fianchi crudi della montagna e da tetto il cielo. E' dedicata agli Alpini Caduti e a tutti quegli Uomini che in guerra o in pace hanno sempre risposto in modo esemplare all'appello della Patria. Il sole e l'ombra avvolgono i loro nomi, il vento e il canto degli uccelli cullano la loro memoria, il profumo della resina, dell'erica, del ciclamino, ripropongono la loro presenza tra noi.
Qui al Bosco non è la morte che appare, ma la pietà amorosa dei vivi e la percezione inesprimibile dell'eternità che è assolutamente vita.